Boschi dell'Etna - Reportage di Fotografia Paesaggistica e Naturalistica - FP Nature and Landscape Photography

FELICE PLACENTI
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Boschi dell'Etna



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A oriente l'aurora mi annuncia che l'alba è vicina; nel cielo brillano ancora le stelle.
Decido di fermare l'auto e scendere per prendere una boccata d'aria. Fa un po' freddo, il termometro segna zero gradi, l'aria profuma di pulito e di natura. Intorno a me l'oscurità e le lucine dei paesi a valle.

Arrivo alla mia destinazione quando il sole deve ancora sorgere; spengo il motore del fuoristrada e mi concedo una frugale colazione in macchina, accompagnata da una tazza di caffè che il thermos è riuscito a mantenere caldo.
E' ora di iniziare l'escursione. Chiudo il giubbotto, indosso guanti caldi e cappello, metto in spalla lo zaino preso dal bagagliaio, afferro il treppiede e... rimango fermo a guardarmi intorno: non c'è nessuno e questo è il rituale che precede molte delle mie escursioni, come quelle che iniziano in piena notte e finiscono la sera dopo.
Mi guardo intorno e assaporo l'idea che sto per incominciare un'altra escursione, desiderata, pianificata e attesa per giorni. Come in segno di doveroso rispetto, in silenzio osservo gli alberi che mi circondano, poi muovo i primi passi lungo il sentiero. Lentamente cominciano ad affiorare sensazioni ed emozioni.


bosco ragabo

pineta ragabo


Mi trovo sull'Etna, a circa 1.500 metri di quota, è autunno, e mi sono appena addentrato nella Pineta Ragabo; il sottobosco è ricoperto di felci, i licheni stanno continuando a degradare le rocce di antiche colate laviche ed io mi sento come a casa. Dai boschi ho sempre subito un richiamo inspiegabile, quasi il desiderio di andare alle origini, di immergermi in un mondo magico, popolato da vecchi e saggi alberi e da creature sconosciute.

Oggi seguirò uno sterrato che attraversa la pineta e arriva fino alla faggeta di Timparossa. Si tratta di un percorso agevole, che è possibile fare in poche ore, tra andata e ritorno. Ma io non ho fretta e presto il peso che ho sulle spalle, attrezzatura, acqua e pranzo al sacco, comincerà a farsi sentire.

bosco ragabo

bosco ragabo


La Pineta Ragabo, o Bosco Ragabo, o Pineta di Linguaglossa, ammanta il versante nord-orientale del Vulcano ed è molto estesa. E' formata da bellissimi e maestosi esemplari di Pino laricio (Pinus nigra subsp. calabrica), caratterizzati da tronchi perfettamente dritti e verticali, paralleli gli uni agli altri, che si ergono fino a raggiungere i venticinque metri di altezza, e anche più. Le chiome sono relegate in cima ai tronchi, che così risultano spogli e creano un pattern perfetto per la fotografia di paesaggio.
I tronchi dritti, che si innalzano alti verso il cielo, sembrano formare una barriera creando la scenografia perfetta per chi ama scoprire che cosa c'è oltre. E' uno scenario che si trasforma in continuazione a mano a mano che ci si sposta lungo il sentiero, si dissolve e si ricompone più in là, come nello spettacolo di un illusionista.

Ragabo è un bosco antico. Lo conoscevano sicuramente gli Arabi che dominarono la Sicilia dall'827 al 1060. Furono proprio gli Arabi a chiamarlo Ragabo (Rahab), cioè "Bosco". Dire "Bosco Ragabo" equivale a dire "Bosco Bosco", come a voler puntualizzare che si tratta del bosco per antonomasia. Appellativo del tutto meritato. Tra l'altro si tratta dello stesso meccanismo linguistico che sta alla base del secondo nome dell'Etna, Mongibèllo: gli Arabi la chiamarono col nome Gibel o Giabal (montagna), a cui successivamente si aggiunse il latino Mons (Monte); Mons Gibel, ovvero "Monte Montagna" (montagna per antonomasia).
Quindi posso dire di trovarmi nel Bosco Bosco sul Monte Montagna per fotografare paesaggi e natura.

pineta di linguaglossa

bosco ragabo


La fotografia paesaggistica richiede un approccio particolare. Bisogna entrare in "sintonia" con l'ambiente, osservare molto e riconoscere, tra le scene, le composizioni più interessanti e belle. Passeggiare lentamente e mantenere l'attenzione sulle sensazioni e sulle emozioni.

La giornata è appena iniziata, il sole è coperto dalle nuvole, ma speravo di trovare la nebbia! Le condizioni di luce non sono delle migliori, ma so che cambieranno più volte nel corso della giornata. Nel pomeriggio vorrei sfruttare i raggi obliqui del sole.
Mi aspettano alcuni chilometri di cammino in leggera salita, accompagnati da frequenti deviazioni nel bosco, ora a valle, ora a monte, spesso in mezzo a una selva di felci gialle e verdi.

Dalla copertura di felci, di tanto in tanto appare un tronco o un ceppo marcescente che fornisce casa e nutrimento a intere popolazioni di insetti saproxilici, funghi, licheni, muschi e batteri. Le sue sostanze ritorneranno nel terreno, già fertile grazie ai sali minerali dei materiali piroclastici che nei millenni si sono depositati sui fianchi del vulcano.
Mentre avanzo nella penombra del bosco non posso fare a meno di meditare sulla sua storia, sulle titaniche forze che hanno plasmato questo angolo di pianeta fin da quando qui non c'era nulla, se non il mare.

felci

sottobosco

funghi


Pare che più di 2.000 anni fa gli antichi Greci, e poi gli antichi Romani, sfruttassero la legna per costruire navi. Ma alcuni studiosi fanno risalire il Bosco a circa 350.000 anni fa quando, alla fine del quaternario, il Pino laricio migrò dall'Aspromonte, superando il mare che separava la Sicilia dalla Calabria. Sull'Etna, tra i 1000 e i 2000 metri, trovò condizioni favorevoli al suo sviluppo.

Ancora oggi sui tronchi di molti pini si osservano le incisioni a lisca di pesce praticate per la resinazione (l'estrazione della resina), attività svolta fino a una sessantina di anni fa. Pare che la resinazione sia stata introdotta nel Bosco Ragabo nel IX - X sec. da famiglie provenienti da Castiglione, ma di origini liguri e lombarde. Queste famiglie, insieme alle genti del luogo, contribuirono alla formazione della prima comunità di Linguaglossa. Così la storia del Bosco si intreccia con quella di Linguaglossa, comune ai piedi dell'Etna.

Ma le incisioni praticate sui tronchi rappresentavano un trauma per gli alberi! La produzione della resina, infatti, è un meccanismo di difesa che la pianta mette in atto per risanare le ferite, i traumi e gli attacchi. Una resinazione maldestra o eccessiva poteva portare alla morte dell'albero!
Gli alberi che osservo hanno superato il trauma, le ferite si stanno rimarginando e oggi su alcuni tronchi le incisioni si vedono a malapena.

estrazione della resina


E' una caratteristica della natura dell'Etna. Anche dopo la distruzione operata dalle colate laviche, le piante si riappropriano degli spazi e vegetano.
Girovagando fra gli alberi, camminando su un suolo fatto di terriccio e nera sabbia vulcanica, una sabbia che si rinnova frequentemente a causa delle ricorrenti eruzioni, osservo numerosi affioramenti di basalti. Testimoniano la natura di fuoco di questa Montagna e mi fanno pensare che questi alberi hanno condiviso il proprio territorio non solo con altre specie vegetali e animali, ma anche con la furia del Vulcano. E l'Etna non è un vulcano qualunque, è uno dei più grandi e attivi del pianeta!

boschi e colate laviche

boschi e colate laviche

boschi e colate laviche


Procedendo verso ovest e salendo di quota, trovo la prova della “guerra” che da migliaia di anni si consuma su questo versante della Montagna: una colata lavica ha letteralmente separato in due parti un lembo del bosco. E' la colata del 2002. Un nastro bruno di massi e lapilli si è fatto strada nella pineta, uccidendo gli alberi e seppellendo ogni traccia di vita. Ma in questi quasi due decenni  le piante hanno incominciato a colonizzare la colata, così a fianco di tronchi calcinati osservo cespugli e fili d'erba. Qua e là vedo spuntare rare, piccolissime pianticelle di pino. In effetti il Pino laricio svolge un'importante funzione di pianta pioniera, disgregando la roccia vulcanica.

giovane pino laricio


Ma c'è dell'altro. Dove l'Etna ha creato squarci nel bosco, si è aperta una finestra sul versante settentrionale del vulcano. Da lì lo sguardo può spaziare sui Monti Peloritani, sulla costa ionica, sulla Valle del Fiume Alcantara e sui paesi pedemontani. Ma anche sui crateri sommitali, perennemente fumanti.
Lungo il percorso incontro altre colate, altra distruzione. Questa volta si tratta di lave un po' più vecchie, si fa per dire. Sono le lave del 1923. La differenza con le lave del 2002 si vede: quelle più vecchie sono in parte ricoperte di licheni.
Le lave del 1923 hanno un fronte molto più ampio e uno spessore ben maggiore. Quella del 1923 fu un'eruzione molto distruttiva! La colata arrivò fino a valle e distrusse case e vie di comunicazione.
Le colate laviche di questo versante hanno una caratteristica in comune: si originano da crateri disposti a "bottoniera". Mi trovo, infatti, in una zona del vulcano cosparsa da teorie di bocche eruttive allineate, alcune minuscole, altre enormi; è la zona dei rift, con spaccature, fessure, grotte e voragini.

monti peloritani

colata lavica


Proseguo il mio cammino e alterno tratti di bosco a spoglie colate laviche. Passeggiando nel bosco di pini larici si rimane impressionati dalla mole degli alberi. Alcuni tronchi sono davvero grandi, ma sono le altezze a colpire maggiormente. Il Bosco Ragabo ospita un patriarca: Zappinazzu. Il nome deriva da "zappino", termine con cui in Sicilia si indica il pino laricio, per la capacità che hanno le radici di "spaccare" la roccia e colonizzare le distese laviche. Zappinazzo è un albero alto circa trenta metri e con una circonferenza di cinque metri (sei, alla base). I botanici stimano un'età di circa 200-300 anni. Un giorno andrò a trovarlo, così come andrò a far visita agli altri alberi monumentali che popolano l'Etna (alcune decine), come il Castagno dei Cento Cavalli, il Castagno della Nave e l'Ilice di Carrinu.

Ma i pini larici non sono le uniche specie arboree a vivere nel Bosco Ragabo. Nella parte iniziale della mia escursione mi è capitato di incontrare dei castagni e qualche quercia caducifoglia. In alcune aree del bosco il Pino laricio costituisce popolamenti quasi puri. Alle quote maggiori cede il passo ai faggi e il contesto paesaggistico cambia profondamente. E' autunno e i faggi si sono tinti dei caldi colori autunnali. Solo un mese prima avevo organizzato una passeggiata fotografica di gruppo nel Bosco Ragabo; in quella occasione avevamo raggiunto i primi faggi, ma le foglie erano ancora verdi!

foglie di castagno

ginestra arborea

ginestra arborea

faggi


In Sicilia il faggio (Fagus sylvatica) si è rifugiato durante le glaciazioni. E’ presente anche sulle Madonie, sui Nebrodi e sui Peloritani, ma sull’Etna tocca il suo limite meridionale. Nell’Isola le condizioni non sarebbero particolarmente favorevoli alla specie, se non fosse per il microclima e le condizioni chimico-fisiche dei terreni che, malgrado la posizione al centro del Mediterraneo, ne favoriscono la sopravvivenza!

Comincio ad addentrarmi nella faggeta ed è come arrivare su un altro pianeta in cui la luce possiede tutte le tonalità di colore più calde: dal giallo-arancio delle foglie ancora sui rami al rosso del tappeto di foglie che ricopre il suolo. Diventa evidente il contrasto con il verde cupo delle chiome dei pini.
Arrivo alla mia destinazione, la Faggeta di Timparossa, nel primo pomeriggio. Il sole si alterna alle nuvole mentre declina sempre più verso occidente, al di là, oltre il bosco, oltre le vette dei Monti Nebrodi, dietro il Mar Tirreno.

faggeta timparossa

faggeta timparossa

faggeta timparossa


Sono circondato da ammassi temporaleschi che tuonano con sempre maggiore veemenza. Sembra proprio che stia per arrivare un temporale, così decido di prendere la via del ritorno. Spero ancora di trovare la nebbia nella pineta, al tramonto.
Strada facendo mi raggiunge una leggera pioggerellina; viene da lontano, trasportata dalla brezza.
Dagli sterrati che si snodano all'esterno del bosco ammiro un arcobaleno sulla Valle dell'Alcantara, poi la pioggerellina si mescola al nevischio e prosegue a intermittenza. Ancora una volta la natura dell'Etna mi sorprende e mi entusiasma.

valle dell'alcantara

arcobaleno

pioggia e neve


Nel tardo pomeriggio sono di nuovo nella pineta, ma la luce non è quella che speravo, il sole è coperto! Risalgo in auto dopo il tramonto: è tutto cupo. Decido di salire di quota, verso Piano Provenzana, e scopro che l'Etna si è imbiancata di neve alle quote più alte, leggermente più alte di quella cui sono arrivato nel primo pomeriggio. Se non sbaglio, è la prima neve.

prima neve


Mentre viaggio verso casa ripenso alla giornata trascorsa nel Parco dell'Etna, Patrimonio dell'Umanità. Nei pensieri echeggiano i silenzi della natura, fatti di cinguettii e fruscii, gli spazi aperti e sconfinati, le quinte scenografiche di tronchi verticali, i sottoboschi di felci e tronchi marcescenti, i profumi di resina e muschio e tutti i colori che questo pianeta riesce a produrre. Ritorno a casa con decine di fotografie ma, soprattutto, ricolmo di gratitudine e di pace interiore.

funghi

SU QUESTO LAVORO

Categoria:
Storie e Reportage

Note:
Il racconto di una giornata trascorsa tra i boschi del versante nordest dell'Etna.

Nella borsa:
  • Reflex Canon EOS 5D Mark II
  • Obiettivo Samyang
    14 mm f2.8 ED AS IF UMC

  • Obiettivo Canon FD 135 mm f/3.5 + tubi di prolunga
  • Obiettivo
    Canon EF 24-105 mm f/4 L IS USM
  • Obiettivo
    Canon EF 200 mm f/2.8 L II USM
  • Filtro polarizzatore NiSi CPL PRO 82 mm
  • Filtro a lastra NiSi GND 4 Nano IR soft 100x150 mm
  • Filtro a lastra NiSi GND 8 Nano IR soft 100x150 mm
  • Holder NiSi V5 PRO e anelli adattatori
  • Treppiede Manfrotto 190XPROB
  • Testa Mantona Fortress 40
  • Telecomando wireless

          Quando ho scritto il reportage:
          Autunno 2019
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